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Il triste e bellissimo mondo di Sparklehorse

10 anni senza Mark Linkous.
Un’assenza che è un mare fatto di aria dove le sue canzoni galleggiano indimenticate. Il cantante, polistrumentista, poeta si è suicidato il 6 marzo 2010 a Knoxville.
Una playlist per ripercorrere il “triste e bellissimo mondo” di Sparklehorse
il nom de plume con il quale firmava la sua musica.

di Andrea Provinciali 

Non potevo che cominciare da lei, Sad And Beautiful World, per tracciare questo sentito omaggio all’artista che – senza dubbio – più di tutti ha segnato indelebilmente il mio immaginario musicale. Per intenderci: se mai fossi obbligato a scegliere un solo disco da portare su un’isola deserta e ascoltarlo per il resto dei miei gironi, non avrei dubbi. La scelta cadrebbe sull’impronunciabile Vivadixiesubmarinetransmissionplot!

Erano i primissimi anni di Napster e finalmente ebbi la fortuna di ascoltare per la prima volta Sparklehorse – nome che già avevo intercettato qua e là sulle riviste di settore e che purtroppo mancai per pochi minuti (sì, arrivai in ritardo) al concerto dei Radiohead a Firenze nel 1997 (durante il tour di OK Computer era proprio il progetto di Mark Linkous ad aprire a Thom Yorke & co.). Insomma, la prima canzone che quel programma di file sharing scaricò – a 56K, è bene ricordare – fu esattamente Sad And Beautiful World, seguita a breve distanza da Someday I Will Treat You Good.

Fu amore all’istante. Alla prima occasione, comprai insieme i cd dei suoi primi due album: Vivadixiesubmarinetransmissionplot (1995) e Good Morning Spider (1998). Ecco, dopo venti anni e passa sono ancora smarrito in quel mondo fatto di fragili malinconie, chitarre acide, suoni sporchi come arrivassero da un altro universo, theremin, tasti di pianoforte sfiorati, note minimali e bordate noise, discese agli inferi e albe sublimi, insetti, ospedali, prati, mari fatti di denti, capelli bellissimi, boschi, vedove e cuori pieni di oscurità, ragazze carine che mungono mucche, sorrisi che lasciano senza fiato, pistole, depressione, addii che fanno male, paradisi e stelle, solitudine, coccinelle, ma soprattutto tanti riferimenti a quel cavallo che senza dubbio è l’animale totem di Linkous.

Il 6 marzo del 2010 Mark Linkous decise di porre fine alla sua vita sparandosi dritto al cuore. Lui, che era così stufo degli addii (Sick Of Goodbyes). Lui, che implorava una piccola coccinella di portargli fortuna (Junebug). Lui, che sentiva arrivare quegli uccelli del dolore (Painbirds). Lui, che tutto quello che voleva era essere un uomo felice (Chaos Of The Galaxy/Happy Man). Lui, che sentiva l’alba avvolgerlo con le sue ali e sussurrargli “poor thing” (Sunshine). Lui, che desiderava avere una testa di cavallo (Apple Bed). Lui, se ne è andato così… proprio come canta in Sad And Beautiful World:

“Sometimes days go speeding past
Sometimes this one seems like the last”.

Quel giorno è arrivato e ha bussato alla sua porta. “Don’t let it in when it comes knocking at your door”, così canta in Maria’s Little Elbows. E invece no, non solo lui lo ha fatto entrare ma gli ha pure offerto un goccio di bourbon e qualche antidepressivo.

E sì, lo so che eri ironico quando hai scritto It’s Wonderful Life… ma la tua eredità musicale (4 album e un bel po’ di collaborazioni varie) ha reso la mia di vita almeno un poco più “meravigliosa”. Sappilo. Il tuo triste e bellissimo mondo a un rifugio per me. E sempre lo sarà.

Questa playlist è per omaggiare uno dei più grandi artisti degli ultimi trenta anni della storia musicale, che manca ogni giorno di più.

Tinals lov 011 Apple Bed – Sparklehorse – cassettina by NOVA

Apple Bed (4’ 54’’)

Sparklehorse – 2001

Mark Linkous cantava da dio. E ha scritto alcune tra le canzoni più belle mai sentite. Davvero. Ed è stato pazzesco fare i conti con il fatto che non ci sia più. È stato pazzesco fare i conti con il suo suicidio. Era immenso il talento di Mark Linkous, fondatore e leader degli Sparklehorse, un gruppo che nella lista ideale dei migliori dei ’90 dovrebbe essere su, in cima. In Apple Bed si fa (timidamente, con pudore) accompagnare da Nina Persson, cantando “You can be my friend / You can be my dog / You can be my life / You can be my fog”. È una canzone fatta di pause e ripartenze, Apple Bed. ed è immensamente ricca, come una giornata che si annuncia foriera di promesse, promesse che verranno mantenute. Qua e là si sente un violino irrompere – con suono ora delicato, ora distorto – sulla scena di una canzone tenuta in piedi grazie a una tensione solenne, romantica. Tratta da It’s A Wonderful Life¸ album del 2001, titolo la cui maledetta ironia verrà qui volutamente tralasciata, Apple Bed è un equilibrio miracoloso di talento. Luce, stelle, fari nella notte; il canto che vorresti non finisse mai.

di Liborio Conca

Liborio Conca – l’autore di tutte le schedine delle cassettine – ha pubblicato circa un anno fa RockLit, un libro tutto basato sul rapporto rock e letteratura. Uno dei capitoli è dedicato proprio a Mark Linkous: AL CONFINE DEL SOUTHERN GOTHIC: SPARKLEHORSE, TRA ROCK E LETTERATURA.

Di seguito ne pubblicamo un breve estratto, che troverete nella sua interezza sul sito di minima & moralia.

Il mio regno per un cavallo

Un passo indietro, come si dice. E dunque è il pieno dell’estate 1995 quando nei negozi di dischi, ancora per qualche mese gli Unici Posti Dov’era Possibile Poterli Comprare, fa la sua comparsa un disco dalla copertina, be’, piuttosto sinistra. Lo sfondo è un cielo azzurro sormontato da una grossa nuvola; in primo piano, invece, si staglia una maschera da clown appesa a un filo, con gli occhi accesi ma privi di pupille, il naso monco e una bocca deformata in quello che sembra il sorriso di un pazzoide. Non siamo dalle parti orrorifiche di Pennywise, il pagliaccio che dal 1986 tormenta gli incubi di chi ha letto It, il capolavoro di Stephen King. Se proprio vogliamo confrontarli, il clown sulla copertina di Vivadixiesubmarinetransmissionplot è un fratello minore, minimal, diversamente inquietante. Pennywise è l’Orrore, l’Incubo, la figura che compare sulla copertina del debutto degli Sparklehorse è la Sorpresa, il Grottesco. È il pagliaccio che scatta a molla dalla scatola, non quello che terrorizza i ragazzini di Derry lassù nel Maine, rappresentando l’incarnazione del male.

Se la copertina promette bene, l’interno è molto meglio. È una meraviglia. I primissimi versi sono un’eco shakespeariana, parafrasando il passaggio più celebre del Riccardo III, e non poteva essere altrimenti essendoci un cavallo di mezzo. A horse, a horse, my Kingdom for a horse. Lì nel Riccardo III il re d’Inghilterra, l’ultimo sovrano inglese che morirà in guerra, è rimasto ormai solo, disarcionato sul campo di battaglia, e implora un animale che possa portarlo lontano dalla morte, offrendo in cambio la sua corona. Nella Homecoming Queen degli Sparklehorse il re diventa una regina e il cavallo è ancora un simbolo di salvezza; in questo caso, il regno da scambiare con un cavallo è l’inesorabile trascorrere del tempo. Datemi un cavallo, sussurra la disfatta sovrana di Homecoming Queen, datemi un cavallo che possa galoppare lungo campi magnetici contro l’incombere del tempo (e prima del decadimento, un ultimo lampo di giovinezza, rappresentato da una scatola di stelle filanti, l’ultima, prima che anche le stelle siano consumate, corrotte… [continua].

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