ART FOR PALESTINE
Reinterpreta artisticamente la bandiera palestinese
Clicca qui per il bando

Cerca
Close this search box.

Giù la maschera

PAROLE / maschera
di Riccardo Marra


Lo specchio non si vede ma c’è. Riflesso tra le striature un uomo con due triangoli neri al posto delle sopracciglia e il rimmel sbavato insiste sul suo volto. Ha un’espressione da fine del mondo. L’uomo si porta gli indici ai lati della bocca e tira su quei lembi di carne che servono per produrre un sorriso. È un espediente momentaneo però, perché quando li molla torna a precipitare lo scoramento. La sua faccia è una maschera, sembra carne ma è gomma. Davanti allo specchio quell’uomo è Joaquin Phoenix: un attore a cui hanno dato una missione impossibile, ma lui ci ha riso su, perché non c’è nulla di impossibile per uno che ha visto suo fratello turbinargli tra le braccia nella sua migliore interpretazione di sempre: la morte violenta. La missione impossibile per Joaquin è rifare Joker senza farsi tormentare dagli spettri di Jack Nicholson e Heath Ledger. Il film di Todd Phillips arriverà a ottobre e Bob De Niro, che fa parte del cast, lo ha descritto come un Taxi Driver/Re per una notte di scena a Gotham City.
Gotham è New York, i fumi sono quelli dei tombini della Grande Mela. E il cattivo della saga di Batman è un Travis ma con rossetto e maquillage. Niente cresta da moicano e giubbino militare insomma, anche se pure quella era una maschera allo specchio (sì, Travis, stiamo parlando di te, ce l’abbiamo con te).

Vhs 013 – (This Is Not) Taxi Driver
graphic remake by Alberto Becherini

La maschera. Gocciola di nero. È protezione. Paranoia. Nasconde le perversioni più peccaminose. Bianca, anonima, come quella in Eyes Wide Shut di Kubrick. Dalle sembianze di uccello come il tutone azzurro in Birdman di Iñarritu.
Michael Keaton è un vecchio supereroe da blockbuster che s’è messo in testa di fare l’attore impegnato. Resterà deluso, nudo, con mutandoni da medio man, a correre per Broadway mentre la folla lo sputtana in diretta facebook. La maschera protegge la violenza. Scherma la vergogna. Lo dice pure quel vampiro di Peter Murphy in Mask dei Bauhaus. Sputa sangue e poi fa: “la trasformazione è investita di mistero e vergogna / mentre la cosa che sono diventa qualcos’altro / in parte personaggio, in parte sensazione”.

(This Is Not) The Passion Of LoverBauhaus
graphic remake by Gio Pistone

La sensazione di aver affidato alla maschera troppo di sé e di essere stato frainteso? Cheyenne sfoggia una maschera tragica. È l’unico che piange durante un concerto di David Byrne in mezzo a gente, invece, che si muove sculettando al tempo della musica pop. Indossa le sembianze elastiche di Sean Penn e sul cuore porta le cicatrici di tutti quei fan che hanno frainteso la sua disperazione di dark rocker fino a morirne per davvero. Siamo sui territori di This Must Be The Place di Paolo Sorrentino. Cheyenne trascina il suo travestimento come un trolley scassato. Lo smetterà solo a fine film come in una specie di morte/nascita.

(This Is Not) This Is Must Be The Place Talking Heads
graphic remake by Veci

Robert assomiglia molto a Cheyenne, ma la sua maschera la veste ancora e da più di quarant’anni. Certo, ora è sbeccata e deformata dal tempo. Ora copre un uomo sovrappeso con un conto in banca ragguardevole e un’ispirazione in affanno. Robert Smith sfoggia sfregi indelebili e cerca ancora una cura. Intanto, a giugno, torna a suonare in Italia ed entro l’anno uscirà con un nuovo disco dei Cure (a undici anni dal precedente). Robert è però l’unico che può permettersi di essere luna e di gocciolare come stelle. È l’unico, insomma, a cui va data l’opportunità di scambiare sole e luna a suo piacimento, portandosi due indici ai lati della bocca.

(This Is Not) Boys Don’t Cry The Cure
graphic remake by Massimo Pasca

Aaaargh. Un urlo. Potente. Viene da un’aula di tribunale. È l’urlo del mondo. Un applauso lo conduce fino alle scalinate dell’esterno. Il fragore segue l’euforia. La scena non è quella di un film con Alessandro Borghi ma poco ci manca. L’aula ora è vuota. Ilaria è andata via asciugandosi le poche lacrime dagli occhi. Resta solo la polvere ai piedi dei banchi e una specie di sibilo. Come una scodella che, cadendo, oscilla faticando ad assestarsi a terra. Guardando bene però, non è una scodella. È una maschera. Sì, ancora una volta una maschera, che ora però ce l’ha fatta. Ora giace sul pavimento. Ferma. È la maschera che ha ucciso il fratello di Ilaria. Caduta in uno strano giorno di aprile.

Vedi anche

Novità